
Raccontato dall'autore
Precisiamo subito che la scelta di usare l'inglese per alcuni titoli, o altre lingue, vuole essere parte integrante di questo mio gioco, e non vuole avere altri scopi se non quello del prendere giocosamente a prestito una lingua o un'altra, anche solo per un piacevole gusto fonetico, con il fine di coinvolgere nel mio lavoro, anche questo aspetto e farlo diventare parte integrante dello stesso. Né più, né meno di questo. "I like Red", "I like Blue", "I like Yellow", formano una trilogia che afffronta il tema della pace, della convivialità, della fratellanza, in onore di una divinità, che fin dagli arbori del creato, in maniera sicuramente libera e priva di "menate", e fino ai nostri giorni, con tante inutili "menate", va chiamata col suo vero nome "sesso". A dire il vero, e per non essere ipocrita, io, questa divinità la chiamerei più volentieri e appropriatamente, cazzo! Questa divinità non ha mai creato divisioni tra i popoli, non ha mai scatenato guerre, non ha mai promosso sanguinose e drammatiche rivalità, non ha mai creato divisioni o caste sociali, ma ha sempre messo d'accordo tutti i popoli, amorevolmente. Se dobbiamo trovare anche qui un neo, dobbiamo al massimo, ammettere che questa divinità, ha sucitato acerrime invidie tra noi mortali, mettendoci tra le mani pesi e misure non sempre uguali. E qui termina la parte seria, di questo ragionamento. Poi, come sempre, interviene la parte giocosa, quella ri-creativa, che cerca di mettere d'accordo artisticamente, la parte seria e quella ludica. Non c'è molto da aggiungere oltre a quanto fin qui detto, perchè chi ha voluto capire ha capito, mentre per tutti gli altri, beh, facessero uno sforzo(!?). Anche in questo caso, suggerisco di fermarsi meno sulla ricerca dei significati, da me polemicamente, ma non del tutto, presi a pretesto, e di concentrarsi molto di più sul piacere di entrare dentro la composizione. Sediamoci comodi e rilassati a tavola, e, mano nella mano, iniziamo a consumare il pasto qui servito. Un caldo pasto che ogni convento non nega mai a nessuno. Inutile sgomitare, ce n'è per tutti i palati. Inutile, inoltre, specificare che le sagome qui disegnate, appartengono tutte a cose, braccia e mani comprese, al sottoscritto, tranne una, ahimè! Questa trilogia ha in comune, oltre alla simpatica provocazione simbolica, anche una modesta lezione didattica, che, di tanto in tanto, è sempre bene rinverdire. I tre colori primari, che dettano il titolo, sono ciascuno ben accomodati sopra una base di oro e bianco, dove traspare da sotto, la prima stesura del corrispettivo loro complementare. La catena qui è più ornamentale, anche se il suo ambivalente significato di costrizione e liberazione, molto bene entra a far parte di questa sceno-grafia, rafforzandone la composizione. Il tutto lavorato sopra uno strato di gesso affinchè si possa ottenere un risultato simile a quello usato nella "Street Art", il cemento di un muro abbandonato. Risultato apparentemente meno nobile della tradizionale pittura su tela, e visto ancora con diffidente distacco provinciale, in realtà, più fresco e attuale. Anche qui niente di solo serio e snob, ma semplicemente evocativo di uno stile che tanto ha dovuto faticare e sudare per affermarsi, visto e filtrato con l'occhio di chi ha guardato attentamente oltreoceano prima, per poi riproporre e ricondurre il tutto, da bravo europeo, ad una dimensione più nostrana e forse meno credibile, rispetto all'originale trasgressivo anticonformismo newyorkese del secolo scorso. Mi auguro in ogni caso, che sia altrettanto credibile e interessante questa mia rivisitazione, avvalorata più da una reale convinzione di voler indagare per rafforzare, che di scimiottare tout court. Forse in questi tre lavori, più che in altri, è evidente come il vecchio concetto del togliere il superfluo per far emergere il finito che sta dentro un insieme indefinito - idea -, è più che mai di attualità, repetita iuvant. A dimostrazione che tutto quello che sapientemente è già stato fatto e detto in passato, rivive sempre dentro ogni presente e futuro. Ecco perchè lo studio, declinato in ogni sua variante accademica, resta per me un solido capitale acquisito, che mi permette di spadroneggiare liberamente e sfacciatamente dentro la storia, con la possibilità di riconvertirlo ogni volta che lo desidero, in valuta sempre spendibile sul mercato del mio presente.