Si parte da una figura geometrica, da un piccolo quadrato sistemato sulla diagonale, in alto a destra, intorno al quale cercherò successivamente di sviluppare il tutto. Un primo punto, un punto preciso da cui partire per fare altro. Anche in questo caso, il lavoro che ne uscirà è già abbastanza definito nella mia mente, più nelle forme che nei colori, tenendo conto che ad oggi, 28 Agosto, l'unica cosa fatta e definita concretamente resta solo questo piccolo e insignificante quadrato di 15X15 cm delimitato per ora solo da un nastro adesivo. Ma io so già che da questo quadratino, farò entrare la luce che illuminerà tutto. Si tratta solo di aspettare, di avere un pò di pazienza. Fatto il quadrato, creato il punto di partenza, si procederà d'ora in avanti, a formare un susseguirsi di forme e colori, che apparentemente non hanno alcun senso, invece stanno già iniziando a strizzare l'occhio alla storia. Alla memoria di un passato remoto, sempre commestibile, quando si possono ancora centrifugare succhi buoni da consumare. In questo caso vado dritto a Caravaggio, alla vocazione del suo San Matteo. Là dove, seduto al tavolo di una taverna romana, Matteo è chiamato alla conversione, con le dita del Cristo e di Pietro puntate perpendicolarmente verso di lui, e da quel fascio di luce mistica che sembra sparato dritto su di lui da un proiettore di scena per illuminarlo e renderlo protagonista. Senza volerlo, ho trovato per questo lavoro un riferimento classico da reinterpretare. Trovarsi davanti ad un capolavoro del passato, studiarlo, capirlo, e penetrarlo fino in fondo, finché il godimento si fa pieno, dopo averlo amato pienamente, la mente eiacula sempre qualcosa da fecondare nuovamente. Sabato 02 Settembre, ora lo spazio tutt'intorno a quel quadrato è definito, e la taverna romana ha assunto le sembianze più di una scenografia televisiva. In questo modo si può ben capire dove si recita, dove si suona e dove si resta a guardare da spettatore. Con la giusta attenzione, e concentrazione, si percepiscono i suoni e le voci, i fischi e gli applausi. Accomodatevi! Ora tutto è pronto per la scena finale, si tratta solo di attendere pochi giorni ancora. La luce si sta diffondendo e orientando. Servono ancora pochi aggiustamenti affinché la luce arrivi là dove serve, niente di più. Domenica 10 settembre, la mia conversione si è compiuta, ancora una volta ha vinto la ragione. Il resto, immaginatelo e vivetelo ciascuno per conto vostro. Ora però voglio spendere qualche parola per affrontare l'argomento "catena". Per dare una spiegazione di quest'uso ossessivo-compulsivo di questo oggetto simbolico, che da qualche anno è entrato a far parte del mio lavoro. Di per sè il significato della parola catena parla da solo. Quello che ci racconta la storia a proposito delle catene non è un bel ricordo. Il significato della catena può simboleggiare principalmente due cose. La prima, liberarsi dalle catene, dai preconcetti, da qualcosa che risiede nel nostro io più nascosto o nella vita reale di ciascuno di noi. La seconda, può significare l’esatto contrario, simbolo di unione e forza nei rapporti interpersonali. Ma esiste anche una terza sfaccettatura quando si rappresenta una catena, la catena spezzata. In questo caso si vuole significare una liberazione, o da un peso terribile a cui eravamo o ci sentivamo legati per un determinato periodo brutto e buio da dimenticare, e che in certi casi può essere stato anche affrontato, superato, risolto. La catena la ritroviamo nella storia di tutta l'umanità, per lo più legata alla sofferenza, alla prigionia o alla schiavitù, ma anche in letteratura, e non solo. Omero, per esempio, una volta fece una osservazione filosofica constatando che una catena fatta di energia dorata formava un legame tra cielo e terra, e Zeus pendeva da una catena come simbolo per mantenere i cieli collegati alla terra. E ancora, secondo Platone la “catena di luce” circondava l’Universo, e conteneva tutte le energie esistenti. Ora la catena non simboleggia più tutto questo, ma rimane della catena la memoria storica di ciò che è stata, con in più la semplice e intrigante simbologia di un oggetto tanto utile per caratterizzare e risolvere graficamente un lavoro dal punto di vista puramente estetico. Ecco che in questo caso, e già si era notato nei lavori precedenti, l'utilizzo di un elemento figurativo, solo in parte decontestualizzato da quanto detto, è usato per puro piacere compositivo, e proietta il lavoro svolto dritto verso una forma di astrazione, per ora non facile da decifrare nemmeno per me, ma già presente. In questo periodo la catena entra, a volte da protagonista, a volte come semplice comparsa, dentro un mondo, il mio, che non può definirsi ancora un mondo liberato completamente dalle tenebre della vita. Non tutto è stato risolto. La strada intrapresa è quella giusta, ma per ora le catene restano a tutti gli effetti comparse essenziali delle mie composizioni. Quando queste tenebre si saranno dissolte definitivamente, le catene saranno avvolte e gettate via per sempre. La vera astrazione non vuole al seguito nulla, o suppergiù. Solo purezza interiore e libertà di movimento-forma, e di luce-colore. No, non è sempre così, non funziona proprio così, non per tutti almeno, non per me, non ancora. Anche il concetto di astrazione può essere declinato, e non mancherà in seguito l'occasione di spiegare meglio anche questo aspetto, visto dal mio punto di vista. Per ora, per quanto concerne questa esperienza, a recita ultimata, devo ammettere che la comparsa di questa catena non è stata all'altezza delle mie aspettative. Pazienza, l'importante è capire ciò che si fa, perché la perfezione non sarà di questo mondo, ma l'idea che si ha della stessa, quella sì, quella si può e si deve avere. Leggendo e rileggendo la critica dell'arte che Matteo Marangoni mi insegnò fin da piccolo, per mezzo dei suoi libri ( un grazie speciale lo devo all'amico di famiglia Carlo Costa, appassionato di letteratura e di arte, che mi regalò all'età di otto anni, il primo cavalletto, colori ad olio, libri dei grandi maestri dell'arte da copiare, e quella che è diventata per me la bibbia dell'arte, il suo capolavoro letterario, "Saper vedere" ), ho appreso i valori in cui s'identificano i pilastri portanti di un'opera d'arte. I suoi libri risentono positivamente della filosofia di Benedetto Croce, arrivando alla chiarificazione e alla dimostrazione dei concetti sulla base dell'osservazione, seguendo una logica come scienza del concetto puro. La passione per lo studio dell'arte che il Marangoni ha maturato, dopo un percorso accademico tutto scientifico, è per me garanzia di quanto qui raccontato, con la più totale e irremovibile mia convinzione e ammirazione per i suoi insegnamenti, ancora viva e presente.