10 gennaio 2018, matura nella mente un nuovo lavoro, il prossimo che farò. Malgrado dica sempre che voglio prendermi una pausa, l’idea di fare un lavoro nuovo subito dopo averne terminato uno, mi assilla e mi tormenta, obbligandomi a ricominciare subito e senza sosta, come fosse una pena da espiare. Capisco bene che in parte lo sia, ma davvero vorrei per un po' non pensare, non pensare a niente, ma non ce la faccio. Pur non avendo ancora comprato la tela e senza molta voglia di fare, in questi giorni, il nuovo lavoro è pressoché finito, nella mia mente intendo, e lo sto solo aggiustando nei particolari, facendolo qui in diretta con voi, come ho preso da tempo l’abitudine di fare. La misura sarà comunque di 150 o 120X100cm, e su questo non ci piove. Non potrà essere un quadrato perché dentro il quadrato ci sta il compiuto, il finito, mentre dentro uno sviluppo orizzontale e dentro una verticale, ci sta il continuo divenire, l’infinito. Dentro il quadrato ci sta la soluzione del problema, mentre nel rettangolo la soluzione o non c’è, o è solo parziale. In questo nuovo lavoro cosa vedo, qual’è la fonte ispiratrice? Ebbene, la fonte ispiratrice è la luce. La luce intesa come idea, come simbolo, come concetto. La luce simbolo di vita, e come la vita che si attraversa per fasi, per tappe, anche la luce si materializza per fasi, in un continuo divenire e mutare per il tramite di un artista che la propone e se la gioca a suo modo. Nel senso che la trasforma da concetto filosofico e scientifico a semplice e pura espressione pittorica. Certo, per quanto mi riguarda non potevo non aggiungere dell’altro, come se quanto fin qui detto non bastasse, visto e considerato che ogni anno al 27 di gennaio ricorre la giornata internazionale della Shoah, ho voluto prendere lo spunto dal tema dato in occasione di una manifestazione artistica in cui esporrò il lavoro, per unire questi due concetti, sapendo benissimo che andrò a complicarmi ancora una volta la vita. Devo dire peraltro che il tema della luce mi ha fin da subito appassionato. Esprimere un concetto puramente astratto e tradurlo in pittura, un concetto che si materializza nella mia mente unendo uno specifico riferimento storico e umano molto forte, la Shoah, filtrato per mezzo dell’arte e consegnato a voi come documento visivo letto e guardato rimanendo in silenzio, è una cosa fantastica. Il tutto si è materializzato da solo, diventando documento storico e pittorico, non so come dire, ma è come se si fosse creato da solo. Come a dire, guarda tu mi hai pensato, ed io sono qui pronto a mostrarmi. Il tema della luce è un’idea fantastica e impegnativa, una sfida che mi è piaciuta subito e che ho colto al volo facendola mia. Come dicevo, non ho comprato ancora niente, né tela, né colori, ma questo lavoro è già finito, e ora, con largo anticipo, ve lo sto presentando senza che nessuno, nemmeno io l’abbia visto fisicamente. Anche se quando leggerete il tutto, il tema sarà già svolto e consegnato, non dimenticate i miei suggerimenti, prima leggete il mio povero e umile testo, scritto con tanto amore, e solo in seguito guardate. Prima entrate in simbiosi con l’artista entrando nella sua testa, navigando nei suoi pensieri, poi guardate e analizzate quello che viene sempre dopo, il dipinto. Prima la mente, poi gli occhi, e se proprio proprio non si riesce a stare in silenzio, con garbo, collegando per bene le tre cose, aprite pure la bocca. Si può fare anche il processo inverso, presupponendo però di aver superato gli studi e tutti gli ostacoli precedenti e agli studi collegati, altrimenti è meglio non rischiare. Interagire con voi mi onora, è per me una sorta di esercizio quasi spirituale. Una continua riflessione e meditazione sul complicato percorso che fa un artista quando decide di staccarsi dalla realtà per intraprendere un viaggio verso l’ignoto. Nel mio caso, tutto il percorso è fatto qui, in diretta con e per voi. Ogni artista, anche il più strampalato e sregolato, solitamente definito strano, anche se dice di lavorare solo per se stesso, ama che il proprio lavoro sia riconosciuto e considerato anche dal pubblico. Io sto semplicemente cercando di agevolare questo percorso, per quanto mi sia possibile, prendendovi per mano e senza forzare nessuno, solo chi decide di farsi accompagnare, per entrare più facilmente dentro il mio mondo. Ad oggi, 15 gennaio, né una bozza, né uno scarabocchio, un segno, niente di niente è stato fatto, se non queste mie parole per ora solo mere intenzioni. Il lavoro era già nato virtualmente nella mia mente in quanto per la fine di gennaio era mia intenzione lasciare una traccia del mio passaggio, per la giornata della Shoah. Al contempo, invitato ad una collettiva d’arte presso la bellissima Rocca Sforzesca di Soncino che suggeriva il tema - La luce -, mi sono convinto di unire il già citato ricordo storico del passato, ad un concetto puramente astratto. Storia e realtà amalgamate tra loro da una forma pittorica puramente astratta, ma non completamente avulsa di contenuti. Ho cercato da giorni un possibile titolo da dare che unisse i due punti fondamentali incrociandoli tra loro senza farli litigare inutilmente, cercando di dare a ciascuno il giusto risalto e valore che meritano. Per la prima volta nella mia carriera artistica, ho pensato e terminato un lavoro in tutto e per tutto, particolari compresi, senza avere ancora fatto e toccato niente di concreto. La luce prevarrà e spaccherà tutto, diffondendosi nello spazio circostante, avvolgendo e accecando chi oserà guardare – suggerisco di farlo in ogni caso -. La storia invece, mitigherà la forza della luce, rendendola amaramente sopportabile, affinché la si possa guardare dritta in faccia e provare la giusta vergogna, riportando lo spettatore con i piedi ben ancorati per terra e la mente rivolta ad una delle più indimenticabili oscenità umana del passato. I colori della luce, la potenza della luce che è vita e speranza, uniti ai colori della notte, la potenza devastante della gelida notte, che qui si fa tragedia, morte. Nelle arti figurative il concetto di astratto assume il significato di «non reale». L’arte astratta non rappresenta la realtà, ma crea immagini frutto di un percorso ragionato e responsabile – nel mio caso -, volto più a guardare con la mente che non con gli occhi. Ecco perché la maggior parte dei miei lavori prende corpo quando sono sono a letto, bello comodo e con gli occhi chiusi, la mia meditazione spirituale prima di prender sonno. Qui, io intendo mettere definitivamente l’uno difronte all’altro, il non visibile, l’astrazione, con la storia, il reale, e voglio, sì, voglio che queste due esperienze si guardino dritte negli occhi e che capiscano che è ora di far pace. Entrambe, così facendo, anche sotto tortura se serve, è auspicabile che imparino a convivere in pace tra loro. Possiamo parlare di vera e sola arte astratta? Difficile dirlo, almeno per quanto fin qui detto e immaginato. Chissà, magari ne uscirà qualcosa di nuovo e di buono, vedremo. Io sono più interessato al fare, a parlare che si accomodino quelli che sanno trovare sempre le spiegazioni a tutto. Oggi, 17 gennaio 2018, tutto è pronto per iniziare a lavorare, a dare corpo a tutto quanto fin qui raccontato. Mi auguro che il risultato finale sia all’altezza delle aspettative mie e vostre. Ora lasciatemi lavorare, noi ci troveremo più avanti, a cose fatte. 22 gennaio, vado a dormire con un pensiero fisso, penso di voler materializzare una o più sagome sulla parte destra del quadro, delle comparse che devono entrare dentro il contesto storico, senza appesantire la scena, la composizione. Ore 4.00 del mattino, mi sveglio e subito ricomincia il tormento. Una sola figura a margine destro della composizione che mi rappresenta il tutto? Più figure sempre a margine sul lato destro che mi danno meglio il senso di una tragedia di massa? Una figura scarna, scheletrica, in ombra e ovattata nel mistero, e che meglio di cento figure mi risolve il problema, il vuoto che da sempre mi tormenta? Sì, può funzionare, ma anche la sintesi del concetto di figure, se ben distribuite e che partano sempre da destra andando a scemare a sinistra, non sarebbe male. Che faccio, cerco la sintesi e poi mi ritrovo di nuovo a documentare tutto, no, non va bene, che faccio? Mi alzo, sono le 5.00, bevo un po’ d’acqua fisso il quadro e riduco il tutto a due sole soluzioni. Appagato e sollevato dal proficuo tormento, ancora col dubbio, torno a dormire un altro po'. Seppur con tante pene e sofferenze da patire, visto che la mente non mi da tregua, dopo tanto riflettere e immaginare, ho valutato e preso una decisione definitiva, quella di aggiungere un elemento nuovo, un triangolo, sempre pertinente, anzi molto pertinente, e che all’inizio non era contemplato. Si tratta di dare corpo e voce ad uno dei drammi più insensati e ignobili della nostra storia recente. Un abominevole fatto storico letto e commentato con gli occhi dell’arte. Non più, una storia scritta che si legge e si commenta con le parole, magari filtrata e serva di bizzarre strumentalizzazioni ideologiche e religiose, ma una storia dipinta che si guarda, e basta. Si guarda rimanendo in silenzio, con rispetto, e provando una profonda vergogna. Sì, guardando questo lavoro, guardando la storia dritta in faccia, qui si deve stare in silenzio e provare vergogna. Altrimenti passate oltre, andate pure via che è meglio, sia per la storia, che per me. Alla fine ha vinto la sintesi, niente figure, nessuna figura, ma il concetto puro nudo e crudo di geometrie che si compenetrano le une alle altre, e che diventano da sole vero documento storico. Sì, storico perché il riferimento alla storia è vero e ti arriva immediatamente dritto allo stomaco. Sintesi di geometrie astratte, che si fanno documento e documentario per mezzo di un triangolo, di un filo spinato e del sangue che sgorga copioso da questa pagina di storia vergognosa. Sintesi pittorica di astrazioni geometriche che specchiandosi dentro la memoria della storia e interagendo con essa, ci consegnano di riflesso la luce di una nuova rappresentazione documentaristica che trasuda di pathos, non più inteso solo come riferimento convenzionale all’arte più arcaica, ma tradotto e riscritto con un linguaggio più fresco e attuale. Con questo lavoro ho inteso chiamare in causa la storia. Ho inteso dare la parola direttamente a lei, ho voluto che fosse lei a raccontarsi, perché solo la storia sa davvero come sono andati i fatti. Ho voluto che fosse lei a parlare, io mi sono limitato a metterle in mano una tela, dei colori e due pennelli. Qui è la storia che salendo in cattedra si rinnova e si fa, ogni volta che la ascoltiamo e la guardiamo dritta negli occhi, carne viva per noi. Domenica 4 febbraio, sento e vedo che manca qualcosa, e come sempre accade mentre sono seduto e rilassato al cesso, medito e immagino, e questa non è una novità, quando improvvisamente penso alla data di consegna e alla mia data di nascita. I numeri sono gli stessi, sono identici, il 21/8/58 e il 5/2/18 Ebbene sì, al cesso ho fatto bingo. Consegno alla storia un altro elemento, consegno il mio marchio di fabbrica offrendomi volontario, partecipando anch’io attivamente a questo drammatico gioco. Oggi 5 febbraio 2018, il lavoro, una vera sfacchinata, è concluso. Ma dico io, una cosa semplice da fare in quattro e quattr’otto no, mai?… Alla prossima!