“La Luce di Enrichetta” mi ha aperto una strada, un mondo. Ora sta a me percorrerla nel migliore dei modi, col massimo dell'impegno; come cerco di fare sempre.
Impegno + Studio + Concentrazione + Passione + Ambizione = Arte
Sacrificio + Solitudine + Lavoro + Gioia = Benessere
Arte + Benessere = Tutto
Arte + Benessere + Tutto = Io
Chi sono io = Ancora non lo so, lo stiamo scoprendo insieme, e questo è bellissimo!
Una cosa però voglio dire, in tutta sincerità: malgrado abbia lavorato tanto, malgrado abbia fatto di tutto nella vita per mettere insieme tutto il necessario per crearmi una vita dignitosa (studio, lavoro, impegno costante per la pittura, seppur con una parentesi non indifferente in cui mi sono dedicato ad altro di non molto diverso, serietà e sobrietà nello stile di vita, onestà che non sempre ha pagato), non mi sento mai all'altezza di quello che vorrei essere. Non ho gli strumenti per indagare e giudicare a fondo questo mio stato d'animo di perenne inadeguatezza, ma di certo questo stato d'animo è il fuoco che alimenta dentro di me, costantemente, la spinta e la determinazione di continuare a fare meglio; di non accontentarmi mai.
Non si raggiunge tutto se non ci si sacrifica, accettando anche sorella solitudine, che ti permette di concentrarti su te stesso e sul tuo lavoro; già, di sacrificarti.
L'Arte è non solo il risultato visivo di un lavoro che si vede e si tocca, un lavoro che si giustifica, ragionevolmente – concetto non opinabile -, all'interno di parametri preordinati e classificabili. L'Arte è e deve anche essere uno stile di vita, all'interno di un concetto consapevole di essere, nel senso di esistere, che deve necessariamente produrre benessere psicofisico. Poco importa il parere altrui...
Per questo ho voluto abbandonare il titolo precedente, per iniziare questa nuova avventura. Dentro “La Luce di Enrichetta” c'era una volontà vera e sincera, incommensurabile di omaggiare mia mamma, di esprimerle tutto il meglio che potevo tirar fuori per ringraziarla. Ringraziarla della sua presenza, della sua gioia che manifesta quando sta con me, della fiducia cieca che ripone in tutto e per tutto in me. Per questo ho visto in quella rappresentazione, una regina, una sovrana, una nobildonna che, vestita con estrema eleganza, avanza verso suo figlio, verso una vita nuova, avvolta dalla Luce. Una Luce, quella di Enrichetta, che ha travolto anche me: una vera illuminazione, e qui non oso andare oltre... per rispetto di chi crede seriamente che si possa arrivare fino lassù.
Ora si apre un capitolo nuovo, si fa per dire, in quanto, di nuovo nuovo c'è poco a volerla dire tutta. Il nuovo sta, se proprio proprio, nel mettere i puntini sulle “i”, come ho sempre cercato di fare peraltro. In questo caso si tratta di dare una spiegazione a questo nuovo percorso, di giustificare il titolo di questa nuova serie di lavori spiegandone, appunto, il concetto che ho inteso attribuire a questi componimenti grafico-pittorici. Ebbene, si tratta di spiegare, per quanto mi risulti possibile fare, come mettere insieme il pranzo con la cena; tanto le metafore vanno di moda e tanto le metafore mi piacciono. Del resto, chi si dice cristiano dovrebbe andare a nozze con le metafore, come dovrebbe andarci (a nozze o da qualche altra parte) quel Sandro-Alessandro, che non è un nuovo artista contemporaneo, ma un ometto qualunque, un ometto per bene, si mormorerebbe tra i banchi consumati di una vecchia chiesa, un cristianuccio seriale qualunque che però le metafore non le vuole sentire, dice lui; perché non le capisce, aggiungo io. “Lascia perdere le metafore” mi disse la sera del 23 agosto 2021 a Portoferraio, dopo la morte del padre, ex marito di mia mamma, entrambi autori, complici (tali padri, tali figli) dello spegnimento della Luce di Enrichetta.
Cari signori toscani, proprio voi, tutti voi, fiorentini ed elbani soprattutto, la Luce di Enrichetta è ritornata a splendere sul Suo volto, nei Suoi occhi, nella Sua voce; fatevene una ragione! Una Luce solo Sua, una Luce di Sua esclusiva proprietà. Una Luce che nessun Mazzei potrà più portarle via.
Che pena ho provato per il cognome dei Mazzei quando ho letto il testamento che Giovanni, una settimana dopo aver sposato mia mamma, ha scritto riferendosi solo ed esclusivamente al figlio Sandro, in cui si raccomanda di tenere alto il nome dei Mazzei. Che tristezza, che pena, che miseria allo stato puro, miseria di animo e miseria di cervello. Il 7 agosto 1982 Giovanni Mazzei sposa mia mamma, e una settimana dopo, il 14 agosto 1982, sempre questo “galantuomo”, all'insaputa di sua moglie, scrive questo testamento, chiedendo al figlio, ad uno dei due, di sicuro al cagnolino più fedele, di tenere alto l'onore del cognome Mazzei. Escludendo mia mamma da ogni riferimento testamentario, come se non esistesse; come se quel matrimonio non fosse mai stato consumato. Che schifo, che vergogna, che miseria, di nuovo: quanta pena!
Io trovo tutto questo davvero demenziale!
La povera Dossi Enrichetta, senza rendersene conto, avendo sposato quest'uomo, un Mazzei appunto, aveva decretato, a sua insaputa – mea culpa mea maxima culpa - lo spegnimento della Sua Luce.
Non vi chiedo nemmeno scusa per la divagazione, tanto era doveroso, nei confronti di mia mamma, sputare fuori anche questo rospo. Per quanto non voglia farlo, per quanto capisca che non serve a nulla, lasciatemi dire che se si nasce piccoli, piccoli si resta; intendo di cervello. Con questo sento il dovere di rimettere, almeno in parte, le cose al loro giusto posto. Anche perché, lo capirete meglio in seguito, tutto è attinente col nostro racconto, forse mai come ora, forse mai come nel caso di questi nuovi lavori. Di sicuro, mi riprometto che lascerò perdere di scavare nel passato - Storia -, è una promessa che spero di mantenere, anche se non me la sento di giurare su niente e nessuno. Chi giura, è già di suo uno spergiuro, sempre e in qualsiasi caso, per qualsiasi cosa e su qualsiasi cosa o persona si giuri: stupidaggine! La verità assoluta non esiste, o meglio, la verità assoluta esiste in quanto tale, ma esistono anche tante sfumature diverse di intenderla, di leggerla, e di raccontarla: è sempre il Tempo di declinare quando la Storia ci supporta.
Sento sempre dire che la pittura di Mauro Pavan porta dentro la sua sofferenza, tutto il suo passato di uomo che ha sofferto, tribolato, lottato per farsi spazio: il suo vissuto. E' tutto vero! Di certo, però, l'amico editore e saggista milanese Giorgio Falossi dice anche, ne è fermamente convinto, che Mauro Pavan, in quanto artista, trova la capacità di andare oltre, di superare tutto questo e di elevarsi sopra le cose terrene, forse - questo lo dico io - per volare via da tutto, per cercare di ripararsi dentro altri misteri-misteriosi universi fatti di tutto ciò che vorremmo che fosse, e fatti allo stesso tempo di niente, perché ancora niente possiamo provare.
Il prof. V. Mancuso dice che non servono prove per credere, perché si crede in quanto credere fa bene al cuore e alla menta, a prescindere, sintetizzato brutalmente. Io, da non credente, sono perfettamente d'accordo con quanto va dicendo il Teologo. Sento, di tanto in tanto, un bisogno sfrenato e incontenibile, di ringraziare qualcuno. Sento il bisogno sincero, spontaneo, un bisogno che mi fa star bene, di ringraziare per qualcosa di bello e buono che mi è capitato senza averne avuto merito. Sento che è doveroso farlo!
La Storia ci viene incontro, la Storia ci salva, la Storia ci aiuta, ci consola, ci fortifica, ci suggerisce come affrontare nuove sfide, perché la Storia è certezza e il Tempo la consolida e la illumina; la rende scienza. Il Tempo diventa la nostra comunione, il nostro Corpus Christi.
Ebbene, la manualità del lavoro va scomparendo. Va scomparendo l'artigiano, e tra pochi anni la manodopera sarà soppiantata tutta o quasi dai robot. Più nessuno lavora il legno, più nessuno lavora la pietra e il marmo, più nessuno aggiusta cose rotte perché si fa molto prima a buttare via tutto e a ricomprare tutto di nuovo. Il senso e la percezione del bello resiste solo in certi ambienti, per certe categorie di persone, oserei dire privilegiate, e la maggior parte della gente si sta disabituando a considerare, a valutare – dare valore – a ciò che è ben fatto rispetto a ciò che è solo fatto. Il mordi e fuggi si palpa – letteralmente – anche col sesso, con la comunicazione, con i rapporti interpersonali. Vedere oggi una nonnina che ricama un centrino, una tenda, un tovaglia con l'uncinetto, desterebbe meraviglia -in senso negativo - tutti quelli che hanno meno di 60 anni. Avendone 63, pur avendo visto usare da giovane i centrini da mettere dappertutto, e non solo sopra i mobili, nemmeno io avrei mai pensato di riconsiderare questi manufatti e vederli ora sotto una nuova Luce, come fonte preziosa d'ispirazione per farne opere d'arte. Prendete in mano un centrino di media grandezza, apritelo e stendetelo per bene, mettetelo contro una fonte luminosa, sopra un fondo colorato di non importa cosa, un cielo, una parete, un corpo nudo, meglio se maschile perché piatto, o un supporto colorato, fosse anche un letto – a ridaje il letto – di foglie colorate, secche; foglie morte solo se viste con gli occhi di un Cetto La Qualunque, ma sempre vive se viste con gli occhi dell'artista. Provate a vedere e a considerare questo centrino non più solo “qualunquemente” come un oggetto da mettere là, fermo immobile per dare risalto ad un altro oggetto ancora più prezioso. Provate invece a considerare il centrino come soggetto primario e scoprirete un mondo tutto nuovo. Vi apparirà una vergine radiosa illuminata dalla Storia e dal Tempo. Intorno a quel mondo, intorno a quella “vergine” vi verrà voglia di far ruotare tanto di tutto il resto; e ce n'è tanto da farci girare intorno, da sfogliare, da considerare-creare. In questo caso il centrino perde la sua originale e primitiva struttura ornamentale, il suo originale senso statico di essere, di apparire, e inizia ad esistere perché inizia a vivere. Per forza solo bianco, un bianco puro che più bianco non si può; oppure di altro colore neutro, sul quale, in appoggio, ci deve stare per forza bene tutto. No, non è solo questo che stiamo valutando ora. Adesso, il centrino diventa altro, diventa quello che vogliamo noi, che vediamo noi, diventa un simbolo, un'idea, un concetto; un concetto che ci trasmette l'idea di un Tempo che è passato e di un Tempo che ancora deve manifestarsi. L'idea di un presente che ci sta dicendo che niente, per un creativo, per un artista, va mai dato per scontato, per concluso nel senso di finito, di morto. In arte niente muore, in arte tutto vive e, se l'arte è arte per davvero, tutto vive in eterno. Un vero artista, un artista autentico, non muore mai, vive in eterno insieme al suo lavoro. L'arte col Tempo non si trasforma, resiste e rimane così com'era e com'è stata creata. Si trasformano le persone che a loro volta trasformano, nel bene e nel male, i messaggi che l'arte ci invia, ci tramanda. L'arte non è solo ciò che vediamo e tocchiamo, questo è solo il suo involucro. L'arte è anche tutto ciò che sta dentro l'involucro, dentro la scatola, dentro il corpo. Per capire e apprezzare bene l'arte, ci vuole l'abilità di saper aprire questo involucro, bisogna saperci entrare dentro. E non venitemela a raccontare con tanti discorsi di circostanza che non valgono nulla; entrare dentro l'arte significa sporcarsi, e chi non si è sporcato, chi non puzza, non profuma, non si macchia, non s'impolvera, non suda, non piange, non gioisce, non prova meraviglia e, magari, un pizzico di sana invidia, vuol dire che non ha saputo entrarci dentro. Vuol dire che non è stato capace di dialogarci insieme, che non ha saputo mettersi in contatto con Lei. Se manca la capacità di trasportarsi dentro l'arte, di diventare tutt'uno con essa, per favore, smettetela di parlare e di occuparvi di arte; in questo caso, la state solo distruggendo, la state solo trasformando nell'ennesimo panino da take away.
Artista è colui che ha saputo vivere dando un senso specifico e molto forte al suo vissuto, contribuendo direttamente a lasciare un segno incisivo, un segno che abbia saputo solcare la sua vita e di chi con lui l'ha condivisa. Meglio se in questo solco l'artista ha saputo lasciare un seme speciale, un insegnamento – non importa la sua genesi – che abbia saputo fruttificare bene sfamando tutti, anche per il futuro. L'artista in questione non è solo colui che fa arte, che crea arte, ma è l'uomo artista di sé stesso, artista della propria vita, artista in quanto ha saputo dare, imprimere, una svolta speciale al proprio modo di essere, nel senso di stare in vita, di esistere, coinvolgendo positivamente anche la vita degli altri. In teoria tutti possono diventare degli artisti, artisti di vita, di scuola quelli più colti, e di strada quelli diversamente colti. E' mia convinzione, da sempre che, abbinare la scuola alla strada, sia il modo migliore per dare forma ad una vera scuola e cultura di vita, compresa quella artistica. Ecco che uomo e centrino posso benissimo stare all'arte con pari dignità, l'importante è che l'arte sia sempre presente. L'uomo sta all'Arte come il centrino sta alla Storia. Il Tempo li unisce entrambi in matrimonio e li promuove ad opera d'arte. Ribadisco il concetto che si definiscono opere d'arte solo le opere d'arte, tutto il resto, casomai, che si accontenti di essere chiamato manifattura.
Il merletto, o centrino, o pizzo, o impropriamente ricamo, per parafrasare Vittorio Sgarbi, insomma quel manufatto che io sto usando, è il risultato di una operazione molto particolare, complicata, per nulla facile e veloce da fare. Almeno per questi fin qui usati, fatti a mano all'uncinetto da mia mamma. Questo intreccio eseguito con un filo di cotone, intrecciandosi per mezzo di una operazione certosina e tecnicamente fatta di precisione e molta pazienza, permette di ottenere alla fine questa meraviglia di tessuto fatto di tantissimi, lo dico in sintesi, vuoti e pieni. Questo tipo di lavorazione risale all'inizio del XV sec. - Storia - e sembra aver preso forma proprio nella mitica e affascinante Venezia.
Il Tempo e la Storia, questi gli ingredienti che hanno formato il mio presente e che mi stanno aiutando a guardare dentro al futuro. Senza questa Scuola si procede per ordine sparso, zigzagando di qua e di là, con le idee confuse. Con questa Scuola alle spalle, si procede con ordine e disciplina, avendo ben chiaro dove si vuole andare a parare; e comunque, con il Tempo e la Storia che ti supportano, il cammino è migliore, più dolce e più sicuro. Non ho detto più facile!