Cavoli rossi


Raccontato dall'autore

Cavoli rossi Vedo questo lavoro già finito, come sempre del resto. Come sempre la vita di un dipinto viene concepita, nasce, vive e matura con te, nell'arco di un niente. Oggi, 26 settembre 2019, quando sono ancora agli arbori della sua creazione, quando questa cosa informe e appena nata sta muovendo i suoi primi passi, come sempre accade, mi ritrovo ancora a scrivere del precedente, di Lirismo agostano. Così, ve lo volevo comunicare, anche se ormai lo sapete già. I racconti seguono sempre con ritardo, i lavori di cui vi parlo. Meglio così, davvero, perché in questo modo vi posso raccontare meglio e di più tutto quello che mi è capitato durante tutta la fase creativa. Per questo motivo, questi racconti assomigliano sempre di più ad un diario, un giornale di bordo che riempie via via il tempo che passa. Dialoghi che hanno già riempito la mia esistenza e che, intrisi di colori, hanno trasformato idee e parole in qualcosa che si gusta solo con gli occhi.
Anticipo la trama: vedo già un tramonto molto infuocato ( in questo momento sto finendo le prime fasce che si stanno sviluppando intorno al sole-cerchio bianco) e, tra me e questo fondale di teatro – la vita -, tra noi, si infrappone una rete di pulviscolo atmosferico fatto di magiche sensazioni cromatiche che vanno a sfumare, ad attenuare, l'infuocato cielo infinito che si sta, pian piano, spegnendo intorno a me.
Ma io non sono dentro la scena, questa volta, sono uno spettatore come voi, sono fuori dalla scena, mi trovo davanti alla scena, mi trovo davanti alla macchina da presa, da spettatore attivo (almeno qui), da regista passivo e scazzato (anche qui), da uno che fa tutto, anche lo scemo a volte, come qui.
Ma non è tutto, tra me e l'atmosfera, tra me e il fondale dipinto e illuminato, c'è un altro elemento, c'è il caos cosmico, il caos psicologico, la filosofia del dramma e del tormento, c'è il sunto della mia vita. Ecco, in questo caso, a questo punto, si materializza la linea della frontiera che demarca il confine tra me e voi che guardate, questo sì che non può essere totalmente condiviso. Credetemi, è normale, è giusto che sia così. Approfondiremo l'argomento nel prossimo lavoro, promesso. Questa quadrettatura che io farò, in un modo o nell'altro farò, sarà la vera linea di demarcazione tra me e voi. Questo filtro scuro, che assomiglia più ad una grata di una prigione, dalla quale guardare fuori la meraviglia che mi sta di fronte, questa inferriata massiccia che si infrappone tra me e la meraviglia che c'è là fuori, c'è, esiste e persiste ancora. Ciononostante il mio sguardo la supera, la rompe e la annienta per mezzo della vista che si incanala dritta e attenta al centro dell'obiettivo e, puntata e tenuta ferma in quel punto, mi fa, magicamente vedere tutto come se tra me e il tutto non ci fosse niente, non ci fossero ostacoli. Ecco cosa vedo io ora, oggi, con solo alcune righe dipinte, io vi ho anticipato il finale. So bene che ci saranno deviazioni durante le riprese, ma non intendo tradire di molto di questo quadro già dipinto e presente qui, davanti a me.
Oggi, 15 ottobre 2019, dopo aver sbattuto la testa contro il muro, che qui è di marmo, ho deciso di non decidere. Ho deciso che è inutile, cercare titoli per lavori che non hanno titoli o avrebbero mille titoli allo stesso tempo. Che fai, che senso ha mettere insieme un sostantivo con un aggettivo quando ti sembra che niente o tutto possa andar bene? Detesto le banalità, detesto scimiottare titoli già abusati, e mi rendo conto dell'importanza dell'essenzialità che, a volte, esprime meglio tutto.
Tramonto di qua e tramonto di là, Sensazioni di qua e Sensazioni di là, Emozioni a destra Emozioni a sinistra. Percezioni varie (!?) Futuro anteriore (? ossimoro insulso !), ecc. ecc. di questo passo... Basta, cazzo! Saranno cavoli miei cosa rappresenta e soprattutto cos'ha rappresentato ciò che ho fatto? Perché bisogna a tutti i costi trovare un titolo a quello che si fa che, sempre più, ciò che faccio vive e sta molto bene di salute anche senza titoli?
Saranno cavoli miei, e saranno anche cavoli vostri che mi leggete, se leggete queste cavolate che scrivo solo per voi. Tranquilli, boni, non vi sto mancando di rispetto, non mi permetterei mai. Sto solo, ve lo siete dimenticato (?), accompagnandovi lungo un percorso che abbiamo deciso di fare insieme. Un percorso che, fin dall'inizio, fin da quando avete accettato le condizioni, le mie, di questo accordo, sapevate che non sarebbe stato tutto rose e fiori.
Che c'entra questo discorso col titolo di questo lavoro? Voglio farvi riflettere come si arriva, per mezzo dell'arte astratta, ad estraniarsi, pian piano, sempre piano piano, per gradi, ad escludere anche l'uso di un sostantivo e di un qualunque tipo di aggettivo che accompagni il sostantivo che, per azzeccato che sia, ad un certo punto diventa superfluo.
Fin che parlavamo di “Luce”, ok, andava tutto bene. Anche quello era un passaggio, uno step che mi sentivo di fare ed ho fatto. La Luce poi, secondo me, andrebbe sempre bene, potrebbe essere usate per sempre, in senso assoluto intendo. Non esiste niente al mondo, ma dico niente, che non sia Luce. Nemmeno il buio è totalmente privo di luce. La Luce, alla fine, diventa anch'essa materia, e dà forma ad ogni cosa, persona, che sono materia a loro volta. La luce ha il potere di trasformare ogni cosa, oggetto, persona, in mille altre cose, oggetti persone; la stessa cosa, lo stesso oggetto, la stessa persona. La luce si fa materia, ma la luce si fa anche aria e acqua quando da materia si trasforma e si fa tutt'uno con tutto ciò che incontra. La luce incontra la materia, con grazia la travolgere e la stravolge, con impeto, con gentile ed elegante violenza, all'improvviso, incendia tutto, tanto è potente là dove serve. La luce è pace e armonia, la luce è poesia, ma diventa accecante e mortale perfino. La luce è l'anima della vita stessa. Qui, per fortuna, ci viene in aiuto tutta l'attualità della pittura, a partire da Turner, e poi Monet, fino ai giorni nostri, sempre con l'ausilio di tante altre discipline, come la fotografia, la poesia, e financo la psicoanalisi, l'industria e le guerre. L'industria con le sue catene di montaggio (si usano ancora oggi per fare miliardi di pandori che non ce n'è uno uguale all'altro nemmeno a pagarlo d'oro), ha prodotto la tecnologia che è servita per distruggere prima, e ricostruire dopo. Distruzione, ri-costruzione, fabbriche-commercio-benessere-consumo di prodotti inutili e ben confezionati, pubblicità-rifiuti e un pianeta che va a puttane. Sbaglio o è dall'esaltazione di tutte queste scemenze umane che nasce la geniale arte chiamata Futurismo, Pop art, Arte concettuale e via dicendo.
Piero Manzoni il più geniali degli artisti pop? Beh, i suoi barattoli contenenti ciascuno gr 30 di merda sono davvero geniali! Dalla merda di Piero Manzoni non sono nati i fiori, ma sono nati gli affari. Ecco, il fine giustifica i mezzi, questa non è arte, questa è solo pura speculazione, provocazione fine a sé stessa.
Nooooooooooo, questa è arte, perché è arte l'idea, il guizzo di fare una cosa, non la cosa in sé, chiaro?
Se io passeggio per strada, e passeggiando calpesto le tante foglie gialle del ginkgo biloba che stanno davanti al ponte di Castevecchio, e calpestandole mi imbatto in una merda di cane, la mia prima reazione è di scansarla, ok, ma subito dopo io metto a fuoco una macchia di colore marrone, sopra una base di colore giallo, il tutto adagiato su uno sfondo di colore verde, o grigio scuro. Ora, immaginate di cogliere anche le mille sfumature di questi colori, di questa immagine che, solo in apparenza, può apparire una stronzata, ma in realtà è l'incipit che, parte sì da una merda, ma poi, alla fine di un percorso, ci fa nascere sopra un'opera d'arte, un fiore, per l'appunto!
Tenetelo sempre a mente questo banalissimo concetto, quando si tratta di arte contemporanea. Niente va sprecato e buttato via, come per il maiale, tutto serve, tutto può essere utilizzato, e venduto. Anche questo pensiero è molto pop, ma io non sono di New York, sono di Verona.
Non ho menzionato l'America, cribbio, che sia stata una sbadataggine? No, non credo, in Europa tutto si crea e in Europa tutto si compie e si completa, a volte si distrugge, salvo che per questa corrente artistica deviata e traviata, da supermercato. Non sono un fan della pop art, per questo non voglio metterla sul podio, non sul primo gradino almeno. Ma nel dire questo soffro perché, in parte almeno, sto mentendo a me stesso e a voi. La prima autentica pop art è statunitense, ok, ok... La vera pop art, ahimè, ha tutto il diritto di stare su un podio.
Se penso però, che questo copia e incolla messo nel carrello della spesa con troppa disinvoltura, ha distrutto l'anima dell'arte che per lo più era ancora fatalmente espressionista, con tutte le sue straordinarie varianti, mi vien da piangere. Se penso che nel carrello della spesa, dal dopoguerra in poi, c'è finito dentro di tutto, e ancora oggi ci finisce dentro di tutto, ahimè, mi vien da piangere.
In questo lavoro, ancora una volta ho voluto intingere il pennello dentro la pittura del passato, la quale, per mezzo di tantissimi fattori, in gran parte miei personali, ha ripreso a vivere, senza perdere la sua magica e mistica atmosfera.
Qui non ci sono carrelli della spesa da riempire. Qui c'è la storia che vuole uscire fuori dai carrelli e dagli oggetti per tornare a vivere e ad occupare ancora oggi quel posto che ha sempre occupato sulle tele e non solo.
La magia del colore che ben combinato si fa pittura del mio tempo. Rimane la storia, rimane la tradizione, rimane la scuola, si cerca una nuova soluzione.
Torniamo a noi, o si ritorna su Madre Luce, la Dea Luce o non si danno più titoli, tanto poi tra noi ci parliamo, ci spieghiamo e ci capiamo pure, alla grande, oppure sono semplicemente cavoli miei, “Cavoli rossi”, appunto, in questo caso.